Composizione del PIL per settore economico in Italia (1960-2023)

Servizi, industria, costruzioni, agricoltura; vediamo quanto questi settori economici contribuiscono al prodotto interno lordo.


(aggiornato con i dati 2023)

Bisogna subito premettere che da un punto di vista statistico non è possibile trovare un dato preciso sul prodotto interno lordo suddiviso per settori economici. Il problema è che su alcune componenti che formano il PIL non è disponibile tale classificazione. Ad esempio, nel metodo della produzione per la componente del valore aggiunto esiste la classificazione, ma non sul totale delle imposte sulla produzione al netto di contributi.

Il risultato è che si può solo fare un’approssimazione accettabile (il valore aggiunto è comunque circa il 90% del valore del PIL). In questo caso per i valori percentuali è sufficiente far riferimento alle quote calcolate sul valore aggiunto; per i valori assoluti si sono applicate le quote percentuali precedenti al valore del PIL reale totale.

Detto questo, andiamo a vedere i grafici:

Composizione del PIL per settore economico 1960-2023Composizione del PIL per settore economico percentuali 1960-2023Composizione del PIL per settore economico variazioni 1990-2023Possiamo notare che la voce dei servizi (il settore terziario) è la predominante in Italia già da molto tempo, anche quando eravamo ancora nel boom economico. La quota è andata comunque lentamente crescendo.

Si nota inoltre come la crisi del 2009 abbia colpito in misura minore questo settore facendone crescere il peso. La grave crisi covid del 2020 ha colpito duramente il settore in termini assoluti ma in termini percentuali la variazione è stata inferiore a quella degli altri settori, tanto che la quota quell’anno è leggermente aumentata. Il problema, però, è che la crisi covid ha inciso sul settore servizi per più tempo, a causa di tutti gli strascichi dell’epidemia che hanno mantenuto restrizioni sanitarie in molti contesti. In questo modo ci sono voluti due anni per recuperare quanto perso nel 2020, ma i valori sono poi cresciuti anche oltre, riuscendo a recuperare la tendenza alla crescita che era partita nel 2014.

Nel 2023 il settore dei servizi ha fatto registrare un PIL di 1.504,5 miliardi di euro (dai 1.482,7 miliardi reali del 2022), con una variazione percentuale del +1,5%. La quota percentuale sul PIL totale è del 72,1% (dal 71,8% del 2022).

Va ricordato che nel calcolo dei valori reali, avendo preso come riferimento l’ultimo anno disponibile, il dato del 2023 è lo stesso sia in termini reali che nominali, sono i dati precedenti che sono diversi dai nominali in quanto vengono rivalutati per compensare l’effetto di svalutazione della moneta da parte dell’inflazione.

Il settore industriale (il secondario più l’attività mineraria) è stato quello che è cresciuto di più in termini relativi fino al 1980. Successivamente abbiamo avuto una crescita più lenta tanto che la quota si è mantenuta stabile o in leggera discesa.

Già la crisi del 2009 aveva colpito duramente il settore, che ha mostrato scarsa capacità di ripresa negli anni successivi rimanendo su valori ben inferiori al picco raggiunto nel 2007. Con la crisi covid del 2020 la situazione è peggiorata di nuovo e il valore del PIL del settore è sceso di poco sotto al livello del 2009. In questo caso il recupero è stato veloce, tanto che nel solo 2021 si è riusciti a tornare praticamente sui livelli precedenti. Dopo il rimbalzo, però, la crescita si è subito arrestata ed abbiamo avuto addirittura due leggere flessioni.

A prescindere dalla crisi covid, quindi, questo settore negli ultimi anni risulta decisamente fiacco, dopo che aveva mostrato una certa tendenza alla ripresa nel periodo successivo alla crisi del 2011-13. Il dato 2023, cose si vede, rimane ancora ben lontano dal picco raggiunto nel 2007.

Analizzando l’andamento nel suo complesso, comunque, questi dati mostrano che l’Italia non ha mai subito un profondo processo di de-industrializzazione come molti sono portati a pensare. Tutt’oggi la quota del settore industriale è la seconda più alta tra le più grandi economie europee (dopo la Germania).

Nel 2023 il settore industriale ha fatto registrare un PIL di 425,5 miliardi di euro (dai 431,1 miliardi reali del 2022), con una variazione percentuale del -1,3%. La quota percentuale sul PIL totale è del 20,4% (dal 20,9% del 2022).

Durante i primi anni ‘60 il settore delle costruzioni (sempre parte del settore secondario) era ancora alla pari con quello industriale, ad evidenziare la ben nota importanza dell’edilizia nella fase del boom economico.

Dopo questo periodo, però, il settore è rimasto più o meno stabile in termini assoluti (a parte un tentativo di ripresa durante la prima metà degli anni 2000), perdendo costantemente peso percentuale. Dal 2009 il settore è rimasto in crisi in modo permanente fino al 2016, anno dal quale mostra una flebile ricrescita. D’altra parte, secondo molti, il settore edile-immobiliare è cresciuto in passato ben oltre le reali necessità.

Con la crisi covid del 2020 il settore è tornato a calare, ma comunque con una variazione percentuale inferiore a quella del PIL totale (infatti la quota è leggermente cresciuta). Dal 2021 si assiste ad una nuova fase di crescita che non si vedeva dai tempi degli anni ‘60, effetto, evidentemente, dei vari incentivi pubblici ricevuti dal settore (bonus edilizi). Il settore costruzioni in termini assoluti ha un valore esiguo e quindi la crescita di questi ultimi anni può incidere solo fino ad un certo punto sulla crescita del PIL totale, ma bisogna ricordare che una variazione nel settore costruzioni ha effetti anche sul settore terziario (servizi) e sull’altra parte del settore secondario (industria). In sostanza, oltre al valore aggiunto generato dai lavori edili, bisogna considerare anche quello generato dalla commercializzazione e produzione di tutti i materiali usati in quei lavori. L’effetto sul PIL quindi va oltre quello che viene attribuito al singolo settore.

Nel 2023 il settore delle costruzioni ha fatto segnare un PIL di 110,4 miliardi di euro (dai 106,4 miliardi reali del 2022), con una variazione percentuale del +3,8%. La quota percentuale sul PIL totale è del 5,3% (dal 5,1% del 2022).

Per molti sarà probabilmente una sorpresa notare come il settore agricolo (primario meno l’attività mineraria) sia così poco rilevante per l’economia italiana. Già nel 1960 il settore valeva appena il 4,6% del PIL.

D’altra parte una configurazione simile è comune a tutti i paesi con un’economia moderna e avanzata. Quelli agricoli sono prodotti a basso contenuto innovativo, con scarse possibilità di incrementare il valore aggiunto unitario, e finiscono quindi inevitabilmente per subire la concorrenza dei paesi in via di sviluppo o che hanno la possibilità di sfruttare al massimo le economie di scala.

Anche in questo caso va chiarito che il settore primario è in grado comunque di generare ulteriore valore aggiunto (e quindi PIL) sui due settori che stanno a valle (secondario e terziario). Ovvero, oltre al valore aggiunto della produzione agricola, bisogna considerare anche il valore aggiunto derivante dalla lavorazione industriale di tali prodotti e derivanti dalla loro commercializzazione. Quindi il valore di tutta la filiera è più grande di quello attribuito al solo settore agricolo. La scarsa capacita di generare valore aggiunto direttamente rende comunque il settore agricolo poco importante in termini economici, nel senso che i medesimi prodotti agricoli possono anche essere acquistati all’estero per alimentare il settore secondario e terziario, rinunciando alla produzione locale, senza avere particolari effetti negativi sul PIL.

Nel 2023 il settore agricolo ha fatto segnare un PIL di 45,0 miliardi di euro (dai 46,2 miliardi reali del 2022), con una variazione percentuale del -2,6%. La quota percentuale sul PIL totale è del 2,2% (uguale al 2022).

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Chi vuole approfondire l’argomento PIL può anche vedere i grafici relativi alla composizione secondo il metodo dei beni finali e in base al metodo del reddito.

 


Fonti

I dati nominali sono tratti dal sito web della Commissione Europea AMECO sezione “National account by branch of activity; Gross value added by main branch at current prices”.

I dati reali sono calcolati utilizzando gli indici deflatori tratti sempre dal sito AMECO alla posizione precedente selezionando però “Price deflator gross value added by main branch”. L’anno di riferimento è stato spostato dal 2015 al 2023.

A partire dal 1995 i dati sono tratti dal sito dati ISTAT sezione “Conti nazionali; Conti e aggregati economici nazionali annuali; Produzione e valore aggiunto per branca di attività”.
Gli indici deflatori possono essere calcolati implicitamente dividendo la serie dei valori nominali (prezzi correnti) per quella dei valori reali con base 2015 (e moltiplicando per 100).

La serie del PIL reale necessaria per calcolare i valori assoluti reali per settore è la stessa usata nel grafico sul PIL, al quale si rimanda per le fonti.

 

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