Composizione del PIL secondo il metodo dei beni finali (1970-2022)

Vediamo come è composto il PIL secondo uno dei più noti metodi di calcolo.


(aggiornato con i dati 2023)

Per calcolare il prodotto interno lordo si possono utilizzare tre metodi diversi, ognuno dei quali, ovviamente, porta al medesimo risultato: il metodo dei beni finali (o metodo della spesa), il metodo del valore aggiunto (o metodo della produzione) e il metodo del reddito.

Il primo è probabilmente il più noto e consiste nel sommare il valore totale monetario di merci e servizi al livello dei consumatori finali (escludendo quindi i consumi intermedi). Ciò che conta quindi è dove finiscono i beni prodotti. Nel calcolo vengono individuate quattro possibilità:

  •  Consumo privato (C), ovvero tutti i beni consumati da privati cittadini.
  •  Consumo privato d’investimento (I), ovvero tutta la spesa effettuata da privati in beni durevoli, aziendali (macchinari, immobili, attrezzature), o di privati cittadini (acquisto di una casa). Sono compresi la variazione delle scorte e gli oggetti di valore.
  •  Settore pubblico (G), ovvero la spesa della pubblica amministrazione in qualsiasi tipo di bene o servizio finale, compreso l’acquisto del lavoro umano (stipendi pubblici).
  • Bilancia commerciale o esportazioni nette (X-M), ovvero il valore delle esportazioni di qualsiasi tipo di bene e servizio meno le importazioni (comprende quindi anche tutte le tipologie di beni precedenti).

Il PIL è dato da tutto ciò che è stato prodotto e consumato internamente, sottraendo ciò che è stato consumato internamente ma prodotto all’estero (importazioni), sommando ciò che è stato consumato all’estero ma prodotto internamente (esportazioni). Il tutto si riassume quindi nella ben nota formula: PIL=C+I+G+(X-M).

Da notare che per le componenti C, I, e G si includono tutti i beni senza badare a dove siano stati prodotti, ovvero si tratta di valori che rappresentano tutto ciò che è stato consumato o investito nel paese, compresi i beni importati (che infatti nella formula vengono poi sottratti).

I valori possono essere espressi in forma nominale oppure, depurando l’effetto dell’inflazione, in valori reali. Come sempre, trattandosi di una rappresentazione su periodi lunghi, si è scelto di utilizzare i valori reali (vedi fonti).

Vediamo quindi i grafici con l’andamento dei valori assoluti e percentuali delle variabili suddette:

Composizione del PIL secondo il metodo dei beni finali in Italia (1970-2023)Composizione del PIL secondo il metodo dei beni finali in Italia - percentuali (1970-2023)Si può notare come i beni di consumo privato rappresentino di gran lunga la prima voce del PIL con una quota che nel tempo è rimasta intorno al 60%. I beni di investimento privato e il settore pubblico hanno mantenuto valori simili tra loro con una quota intorno al 20%. Infine la bilancia commerciale incide abbastanza poco ma bisogna ricordare che si tratta di un saldo tra due valori (esportazioni e importazioni). Come si vede nel grafico, le due variabili prese singolarmente hanno un valore ben significativo e in grado di incidere notevolmente sul PIL. Peraltro si tratta delle uniche serie di valori che hanno incrementato molto la propria quota percentuale nel tempo, ad indicare una progressiva internazionalizzazione dell’economia italiana.

Nel campo privato si nota che i beni di investimento hanno un andamento più irregolare rispetto ai beni di consumo. Ciò accade perché l’investimento in beni durevoli è in genere il primo che viene sacrificato quando tira aria di crisi, sia per una questione di opportunità economica, sia per l’eventuale difficoltà nel trovare finanziamenti a causa di una maggiore prudenza e diffidenza del sistema bancario. Lo si può vedere bene dal marcato calo del 2009 e dal fatto che ancora oggi il valore è ancora ben al di sotto del “rimbalzo” del 2010, mentre il valore dei beni di consumo ha recuperato un po’ meglio, seguendo quello che è l’andamento del PIL totale.

Rispetto a quanto appena detto il 2020 fa eccezione in quanto la crisi economica derivante dall’epidemia covid-19 è particolare; non è una crisi causata tanto da un calo della domanda di beni per questioni macroeconomiche, quanto piuttosto da una impossibilità di spendere e da una riduzione dell’offerta come conseguenza delle chiusure per motivi sanitari. In pratica la domanda è frenata da cause esterne, cessate le quali si suppone che tutto possa riprendere come prima in tempi brevi.

Questo aspetto è confermato dal fatto che il calo degli investimenti nel 2020 è meno incisivo di quanto ci si potrebbe aspettare dagli andamenti passati (nel 2009 e 2012 in termini assoluti il calo fu maggiore), mentre i beni di consumo fanno segnare un calo record. Tutto sommato, pur in un contesto negativo, questa situazione è la migliore che si possa avere perché indica la possibilità di un recupero dell’economia in tempi più rapidi rispetto a crisi passate (come poi si è effettivamente verificato). Infatti, essendo i beni di investimento utilizzati anche per produrre altri beni (beni strumentali), il loro andamento ha una certa influenza sul futuro di tutto l’andamento dell’economia.

E’ evidente come nelle strategie per la ripresa economica post-covid si stia puntando molto sulla componente degli investimenti, tanto che nel 2021 e 2022 è stato recuperato ben più di quanto perso nel 2020, tornando sui i livelli del 2008 con un incremento che non si era mai visto nel periodo considerato. In questo incremento giocano sicuramente un ruolo fondamentale i fondi del PNRR e i bonus edilizi. Come si vede, nel 2023 c’è stato un certo declino, sia per una riduzione di parte degli interventi detti in precedenza, sia per il calo dell’inflazione che sta portando ad una tipica fase di tassi di interesse reali più elevati, contesto che scoraggia i prestiti bancari e quindi gli investimenti.

Al contrario, però, nel post-covid i beni di consumo mostrano una ripresa più lenta, tanto che ci sono voluti tre anni solo per tornare sugli stessi livelli del 2019, in parte anche per gli effetti residuali della pandemia. La ripresa degli investimenti, come detto, fa comunque ipotizzare che quantomeno venga recuperata la tendenza alla crescita vista negli anni prima della crisi covid.

Nel 2023 la spesa per beni di consumo privato è stata di 1241,9 miliardi di euro (dai 1227,0 miliardi reali del 2022) con una variazione percentuale del +1,2%. La quota sul PIL totale è del 59,6% (dal 59,4% del 2022).

La spesa per beni di investimento privato è stata di 436,2 miliardi (dai 442,1 miliardi reali del 2022) con una variazione percentuale del -1,3%. La quota sul PIL totale è del 20,9% (dal 21,4% del 2022).

Da ricordare che avendo preso il 2023 come anno di riferimento per il calcolo dei valori reali, i dati indicati indicati per questo anno sono gli stessi sia in termini reali che nominali. Sono i valori degli anni precedenti che in termini reali vengono modificati (rivalutati).

Se si somma l’andamento dei beni di consumo e di investimento privato, si può notare che i valori risultanti rimangono comunque molto più irregolari rispetto all’andamento del PIL totale. C’è infatti una variabile che tende a compensare in parte tali variazioni: la bilancia commerciale. E’ abbastanza evidente come ad ogni calo o rallentamento dei consumi privati per una crisi economica interna (come quella del 2012-13) corrisponda un incremento della bilancia.

Infatti quando per una crisi economica i consumi privati interni si riducono, questo va anche ad incidere sui consumi dei beni esteri (importazioni), mentre le esportazioni, che dipendono dai consumi e redditi esteri, vengono influenzate meno o per niente. Ciò porta ad un incremento della bilancia commerciale che compensa in parte il calo del PIL (vedere in proposito quanto detto sulla bilancia dei pagamenti).

E’ importante notare, quindi, che una forte incidenza del commercio estero nella propria economia la rende più resistente alle crisi interne.

Nel caso di crisi internazionali o globali, invece, importazioni ed esportazioni tendono a calare più o meno della stessa percentuale. Ciò significa comunque che un paese con un saldo sbilanciato verso le esportazioni viene penalizzato maggiormente rispetto ad un paese con un saldo in equilibrio o negativo.

Nel 2023 le esportazioni sono state pari a 731,0 miliardi di euro (dai 729,7 miliardi reali del 2022) con una variazione percentuale del +0,2%. La quota sul PIL totale è del 35,1% (dal 35,3% del 2022).

Le importazioni sono state pari a 702,2 miliardi di euro (dai 706,0 miliardi reali del 2022) con una variazione percentuale del -0,5%. La quota sul PIL totale è del 33,7% (dal 34,2% del 2022).

La bilancia commerciale è stata pari a +28,8 miliardi di euro (dai +23,7 miliardi del 2022) con una variazione percentuale del +21,5%. La quota sul PIL totale è del +1,4% (dal +1,1% del 2022).

Valo lo stesso discorso fatto in precedenza sul fatto che per il 2023 i valori reali e nominali sono gli stessi in quanto è l’anno preso come riferimento.

Va detto che nel passato grafico con i valori fino al 2022 la bilancia commerciale in valori reali era peggiorata notevolmente, ovvero erano peggiorati tutti i valori del passato, quelli che vengono rivalutati. Ciò è capitato perché il 2022 è stato un anno un po’ particolare, con l’inflazione che ha colpito in maniera particolare le importazioni, tanto che l’indice deflatore specifico ha fatto segnare un +21,5% mentre le variazioni per le altre categorie sono state più modeste. Questa situazione, quando si calcolano i valori reali con l’ultimo anno come riferimento, porta ad una notevole variazione di tutta la serie della bilancia commerciale in senso più negativo. Infatti l’inflazione porta ad una rivalutazione (incremento) di tutti i valori passati di una serie, e in questo caso le importazioni, avendo subito un’inflazione maggiore, vengono rivalutate di più, peggiorando la bilancia commerciale. Diciamo quindi che con i valori reali del passato più che giudicare la positività o negatività della bilancia commerciale conviene giudicare le tendenze a crescere o calare.

Il settore pubblico mostra valori molto più regolari rispetto alle altre variabili. D’altra parte non è pensabile che lo Stato riduca improvvisamente i servizi che offre ai cittadini seguendo le bizze del ciclo economico. Inoltre lo scopo dello Stato è proprio quello di normalizzare l’economia con una funzione anti-ciclica, ovvero cercando di mantenere o incrementare la spesa in periodi di crisi (in genere facendo debito) e cercando di contenere la spesa in periodi di espansione (riducendo il debito).

Il riferimento al debito non è casuale. Incrementare la spesa pubblica infatti non porta in modo certo ad una crescita del PIL, visto che lo Stato dovrebbe trovare le risorse aumentando le entrate fiscali e questo ridurrebbe la spesa privata. In pratica un comportamento di questo tipo implica di sottrarre risorse private e indirizzarle al settore pubblico. In termini di PIL il risultato sarebbe nullo, anche se in realtà le cose sono più complesse e valutare l’effetto di un intervento pubblico sull’economia non è semplice (si veda ad esempio quanto scritto a proposito degli effetti sul PIL della NADEF 2018). Alla fine quindi l’unico modo certo e semplice per agire positivamente sul PIL con la spesa pubblica è quello di fare debito (valutando tutte le conseguenze che ne possono derivare), e non è un caso che i politici spesso vi facciano ricorso. A prescindere dagli effetti sul PIL, non va scordata, comunque, l’importante funzione redistributiva del reddito giocata dallo Stato.

Va notato che la spesa del settore pubblico considerata nel calcolo del PIL con questo metodo non rappresenta tutta la spesa pubblica. Come detto sono considerati tutti gli acquisti di beni finali e gli stipendi pubblici ma non i trasferimenti erogati dallo Stato ad aziende e cittadini (sussidi, incentivi, indennità, pensioni), né ovviamente le spese per gli interessi sul debito pubblico. Così, ad esempio, se nel 2023 la spesa pubblica è di 1146,1 miliardi, la spesa che qui incide direttamente nel calcolo del PIL è 378,5 miliardi (il 33,0%). Ovviamente il resto della spesa pubblica (eccetto gli interessi) finisce per incidere sul PIL in modo indiretto, alimentando il reddito e quindi il consumo privato.

La funzione anti-ciclica della Stato di cui si parlava, quindi, è visibile nella contabilità del PIL secondo i beni finali in modo non completo, considerando oltretutto che nelle fasi di crisi la componente di spesa pubblica che cresce di più è quella indiretta.

Nel 2023 la spesa per beni del settore pubblico è stata di 378,5 miliardi di euro (dai 373,8 miliardi reali del 2022) con una variazione percentuale del +1,2%. La quota sul PIL totale è del 18,1% (uguale al 2022).

Per finire diamo un’occhiata ad un grafico che evidenzia la composizione delle variazioni annuali del PIL:

Composizione del PIL secondo il metodo dei beni finali - variazioni annuali (1971-2023)Risulta evidente quanto detto in precedenza a proposito della bilancia commerciale che cresce molto in corrispondenza di crisi economiche interne; mentre si può notare che nel 2009 e 2020, in corrispondenza di una crisi globale, anche la bilancia commerciale è crollata, contribuendo a trascinare il PIL notevolmente in basso.

Altro aspetto reso evidente è il ruolo della spesa pubblica, la cui funzione anti-ciclica è decisamente poco visibile in Italia (pur considerando i limiti detti in precedenza). Durante gli anni ‘70 e ‘80 gli incrementi sono ben positivi e persistenti a prescindere dal ciclo economico, con il risultato di avere negli anni successivi variazioni negative anche in periodi di crisi per la necessità di risanare i conti pubblici.

Per dare una rappresentazione più completa è possibile rappresentare le variazioni annuali del grafico precedente scindendo la bilancia commerciale nelle sue due componenti, esportazioni e importazioni:

Composizione del PIL secondo il metodo dei beni finali - variazioni annuali dettaglio (1971-2023)Questo grafico è un po’ più complicato da leggere ma rende pienamente l’entità monetaria delle variabili in gioco. Bisogna ricordarsi che le importazioni sono l’unica variabile che viene sottratta nel calcolo del PIL, quindi una variazione positiva nel grafico indica in realtà una riduzione delle importazioni, e viceversa, una variazione negativa indica un incremento.

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Sulla composizione del PIL si consiglia di vedere anche il grafico relativo al metodo del reddito e la suddivisione per settore economico.

 


Fonti

I dati fino al 1994 sono tratti dal sito web dell’OCSE (OECD in inglese) sezione “National Accounts; Annual National Accounts; Main Aggregates; Gross domestic product (GDP)” selezionando le adeguate voci tra quelle sotto a “Gross domestic product (expenditure approach)”.
Per spostare l’anno di riferimento dal 2015 al 2023 è stato necessario calcolare gli indici deflatori impliciti di ciascuna voce dividendo la serie nominale (current prices) con quella reale (constant prices, OECD base year).

Dal 1995 in poi i dati sono tratti dal sito dati ISTAT sezione “Conti nazionali; Conti e aggregati economici nazionali annuali; Principali aggregati del Prodotto interno lordo” selezionando le relative voci nella parte “Lato della spesa”.

Le anomalie statistiche indicate nel grafico derivano dal fatto che la somma dei valori reali delle varie voci calcolate con indici deflatori specifici non sempre riesce a dare come risultato il preciso valore del PIL reale calcolato con l’indice deflatore generale.

 

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