Mercato del lavoro: occupati, disoccupati e inattivi in Italia (1977-2022)

Nel 2022 il tasso di disoccupazione è all’8,2%; nel 2008, prima della crisi, era al 6,8%. Significa che oggi ci sono molte meno persone che lavorano? Non proprio, vediamo perché.


(aggiornato con i dati 2022)

Il problema è che tutti parlano di tasso di disoccupazione ma pochi sanno come viene calcolato e quindi qual è il suo vero significato.

In realtà le cose sono semplici. In termini di mercato del lavoro la popolazione italiana viene suddivisa in tre categorie:

  • gli occupati, ovvero coloro che svolgono una regolare attività lavorativa;
  • i disoccupati, ovvero chi non lavora ma è in cerca di un lavoro;
  • gli inattivi, ovvero chi non lavora per scelta e quindi non cerca neanche un lavoro.

Gli occupati e i disoccupati sommati insieme vengono anche definiti attivi (in contrapposizione a inattivi) o forza lavoro.
Il tasso di disoccupazione non è altro che il rapporto espresso in percentuale tra i disoccupati e gli attivi. Quindi se ci sono 10 occupati e 2 disoccupati il tasso di disoccupazione è dato da 2 diviso 12 (il 16,7%). In pratica gli inattivi non vengono mai considerati nel calcolo.

Chiarito questo, andiamo ad osservare il grafico riferito alla classe di età 15-64 anni, cioè quella che convenzionalmente rappresenta la parte di popolazione in età da lavoro:

Mercato del lavoro: occupati, disoccupati e inattivi in Italia tra i 15 e i 64 anni (1977-2022)Da notare che l’ISTAT recentemente ha modificato i metodi di classificazione per queste statistiche ed ha effettuato un ricalcolo dei vecchi valori solo fino al 2004. Di conseguenza i dati prima di questa data a regola non sono confrontabili con quelli successivi, ma di fatto la differenza è abbastanza modesta. Ad esempio, il nuovo dato sugli occupati raggiunge una differenza massima di -0,6 punti percentuali. La maggior parte dei nuovi valori risulta più bassa rispetto al vecchio metodo.

Osservando il grafico possiamo subito notare che il tasso di disoccupazione, essendo riferito solo alla forza lavoro, è superiore alla percentuale di disoccupati che invece tiene in considerazione tutta la popolazione. E` un errore abbastanza comune confondere le due cose.

Si può osservare che la percentuale di disoccupati in Italia è variata seguendo dei cicli: era bassa nel 1977 (il 3,7%); è cresciuta lentamente per una ventina di anni toccando un picco del 6,9% nel 1998; è ridiscesa al 3,9% nel 2007. Con le crisi economiche del 2008 e del 2012-13 la disoccupazione è salita velocemente toccando il livello massimo del periodo considerato con l’8,3% nel 2014. Successivamente, fino ad oggi, si assiste ad una ripresa della tendenza a scendere.

Se si passa ad osservare la serie di valori relativi alla percentuale degli occupati, ci si aspetterebbe un andamento perfettamente speculare a quello dei disoccupati, ma guardando bene ci si accorge che non è proprio così.

Come si è visto la disoccupazione nel 1977 e nel 2007 era più o meno agli stessi livelli, ma se si osserva la serie degli occupati ci si accorge che nel 2007 il valore è più elevato di ben quattro punti percentuali rispetto al 1977. A parità di disoccupazione, come ha fatto l’occupazione ad aumentare? La risposta è ovviamente nella serie di valori degli inattivi che, come si può notare, mostra complessivamente una tendenza al calo in tutto il periodo considerato. In sostanza una parte degli inattivi è passata agli occupati.

Oggi ci si lamenta molto del fatto che i disoccupati sono ancora ben superiori ai livelli pre-crisi, ma se si va a vedere gli occupati, ci si rende conto che il loro numero ha già superato il livello del 2008, che era già il massimo storico del periodo considerato. Questa volta è successo che una parte degli inattivi è tornata ad essere attiva cercando lavoro (in particolare dal 2012), ma non lo ha ancora trovato. Avere più occupati e meno inattivi può sembrare una cosa positiva, ma in questo modo sono aumentati anche i disoccupati (ovvero chi cerca attivamente lavoro).

La quasi costante decrescita degli inattivi nel tempo deriva esclusivamente dal fatto che più donne lavorano o cercano lavoro, mentre per gli uomini la percentuale di inattività è variata poco ed è addirittura leggermente aumentata.

Ve detto che nelle statistiche ISTAT per risultare occupati (come riportato qui) è sufficiente aver lavorato un’ora nella settimana del rilevamento, risultando ovviamente occupati anche coloro che non lavorano per motivi giustificati (vacanze, congedi, permessi, orari), e per risultare non occupati è necessario che l’assenza di ore lavorate sia superiore a 3 mesi (con qualche eccezione). Se molte persone hanno lavori ad orari ridotti, i dati sull’occupazione possono risultare falsamente “gonfiati”, ovvero, il numero di lavoratori occupati magari è proprio quello ma le ore effettivamente lavorate sono poche.

Proprio per tenere conto di questo aspetto, nel grafico è stata inserita la serie di dati con le ore lavorate in media da un occupato in un anno.

In effetti si può notare che dal 2000 al 2003 c’è stata una prima riduzione delle ore lavorate in una fase nella quale gli occupati crescevano in modo sostenuto. Si può dire che in questo periodo sia stato seguito il principio del “lavorare meno, lavorare tutti”.

Quando sono arrivate le due crisi economiche del 2009 e del 2012-13, però, ad un rapido decremento delle ore lavorate è corrisposto anche una riduzione degli occupati, ad evidenziare la negatività della situazione.

Da notare come nel 2020 con la crisi covid il tasso di occupazione sia calato tutto sommato meno di quanto ci si potesse aspettare (dal 59% al 57,5%) ma accompagnato da un vero e proprio crollo delle ore lavorate (da 1.710 a 1.543). La situazione del lavoro nel 2020, quindi, è più grave di quanto sembri dai soli dati sull’occupazione. Il tasso dei disoccupati nel 2020 è calato grazie al fatto che sono aumentati gli inattivi.

Come detto in precedenza, dopo la crisi covid il tasso di occupazione ha ripreso a crescere, tanto che nel 2022 è ai massimi storici, ma il numero di ore lavorate continua a rimanere più basso del passato e non è riuscito ancora a recuperare nemmeno i livelli pre-covid.

Bisogna dire che la riduzione delle ore lavorate per occupato di per sé può anche essere una cosa positiva se il numero totale di ore lavorate nel paese rimane adeguato (grazie a più lavoratori) e se aumenta la produttività (PIL per ora di lavoro). In tale contesto non si avrebbero effetti negativi sull’economia. In realtà in Italia la produttività è quasi ferma dai primi anni 2000, quindi questa riduzione delle ore lavorate per occupato rappresenta proprio uno dei fenomeni legati alla scarsa crescita economica dell’Italia degli ultimi anni, che solo in parte è stata compensata dalla crescita del numero di occupati.

Nel 2022 in Italia il tasso di occupati è passato dal 58,2% al 60,1%, il tasso dei disoccupati dal 6,3% al 5,4%, il tasso degli inattivi dal 35,5% al 34,5%. Il tasso di disoccupazione è passato dal 9,7% all’8,2%.

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Vale la pena trattare il caso della disoccupazione giovanile, sulla quale viene fatta molta polemica politica in quanto negli ultimi anni il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli superiori al 40%. Anche in questo caso il tasso di disoccupazione se non ben interpretato rischia di far credere che in Italia il 40% dei giovani sia alla disperata ricerca di un lavoro che non trova. Vediamo come sta la situazione con un grafico riferito alla classe di età 15-24 anni:

Mercato del lavoro: occupati, disoccupati e inattivi in Italia tra i 15 e i 24 anni (1977-2022)Come si vede in realtà nel periodo attuale i giovani disoccupati che sono all’attiva ricerca di un lavoro sono solo intorno al 6% del totale, questo perché tra i giovani è molto elevata la percentuale degli inattivi.

Inoltre, se si osserva l’andamento nel tempo, ci si rende conto che nonostante le crisi economiche degli ultimi anni, i disoccupati tra i giovani erano di più negli anni ‘80 e ‘90. Come è possibile? La risposta viene sempre dalla categoria degli inattivi che in questo caso, al contrario del precedente, ha una tendenza a crescere. In pratica i giovani hanno deciso di non lavorare sempre di più per scelta, andando a ridurre molto la percentuale degli occupati, ma in misura minore anche quella di chi il lavoro lo sta cercando (ovvero si sono ridotti anche i disoccupati).

L’incremento degli inattivi non è necessariamente un fenomeno da considerare negativo. In linea di principio se una persona decide di non lavorare per scelta significa che gode comunque di un certo livello di benessere, quantomeno adeguato alle sue esigenze. Evidentemente nel tempo i giovani hanno goduto di maggiore benessere e quindi preferiscono ritardare e diradare la ricerca di una occupazione, magari dedicandosi allo studio.

Nel 2022 il tasso di occupazione giovanile è cresciuto passando dal 17,5% al 19,8%. Il tasso dei disoccupati è passato dal 7,4% al 6,2%, mentre gli inattivi sono passati dal 75,1% al 74,0%. Il tasso di disoccupazione si è ridotto dal 29,7% al 23,7%.

Altro argomento sul quale viene fatta molta polemica politica è quello relativo agli stranieri. In particolare c’è chi sostiene che gli immigrati vengano in Italia “a spassarsela” e non a lavorare. Anche in questo caso vediamo come è la situazione in base ai dati ISTAT:

Mercato del lavoro: occupati, disoccupati e inattivi in Italia tra i 15 e i 64 anni stranieri e italiani (2004-2022)Come si può notare, in realtà la percentuale di occupati tra gli stranieri per lungo tempo è stata maggiore di quella relativa ai soli italiani. Le crisi economiche degli ultimi anni hanno colpito duramente l’occupazione straniera tanto che dal 2020 il tasso si è praticamente allineato a quello degli italiani. La differenza nel tasso di inattività è maggiore, ad indicare che gli stranieri risultano decisamente più “attivi” nel mercato del lavoro rispetto agli italiani. Questa maggiore attività porta però anche ad una percentuale maggiore di chi cerca un lavoro, ovvero di disoccupati (e del relativo tasso di disoccupazione, qui non rappresentato per non creare troppa confusione).

 


Fonti

I dati sono tratti dal sito Dati ISTAT sezione “Lavoro e retribuzioni; Offerta di lavoro” selezionando le voci “Tasso di occupazione” e “Tasso di attività”. La percentuale dei disoccupati è stata calcolata sottraendo al tasso di attività il tasso di occupazione.

I dati precedenti al 2004 determinati con il vecchio metodo si trovano alla voce “Tasso di occupazione (e di attività) – regolamento precedente”.

I dati delle ore lavorate per occupato sono tratti dal sito AMECO sezione “Domestic product; Gross domestic product per hour worked; Average annual hours worked per person employed (NLHA)”.
A partire dal 2016 (per avere valori recenti più aggiornati) i dati sono tratti dal sito dati ISTAT sezione “Conti nazionali; Conti e aggregati economici nazionali annuali; Occupazione regolare e irregolare; Occupati, unità di lavoro, posizioni lavorative e ore lavorate”. Il valore è ottenuto dividendo la serie “Ore lavorate” per la serie “Occupati”.

 

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